Una passione diventata un servizio, che chiude una filiera a livello locale
Nel 2009 un Cedro del Libano piantato da mio nonno si seccò.
Aveva un tronco di 70 cm di diametro alla base e non riuscivo ad accettare che quel legno dovesse finire in discarica, essere rimbalzato da uno stabilimento all’altro e finire bruciato o trasformato in compost.
Al giorno d’oggi il mercato del legno per mobili e costruzioni è talmente industrializzato e automatizzato da tagliar fuori completamente un singolo tronco che non derivi da uno stock di fusti della stessa misura e stesse caratteristiche. È difficile addirittura piazzarlo come legna da ardere.
In questo caso però si trattava di un albero mio e stava a me la scelta. Perciò in totale rimessa lo trasformai in assi, lo stoccai e lo misi a stagionare.
Oggi, ogni giorno, tre famiglie cenano su tavoli di legno massiccio ricavati da quell’albero, a un massimo di 35 km di distanza dal luogo dove quell’albero era radicato.
Lo considero un beneficio per l’ambiente e una grande soddisfazione personale.